2021 winter wrap up – recap letture invernali

Inauguro oggi una nuova serie di post dedicati ai recap stagionali delle mie letture. Un po’ per mancanza di tempo e a volte anche di contenuti (non ho più il tempo di leggere tantissimi libri al mese, ahimè!) ho deciso di creare una nuova modalità per racchiudere in un unico post i libri che leggo in un determinato periodo. Dato che il classico wrap up mensile mi sembrava esagerato, visti i volumi di libri che leggo solitamente (e anche un po’ impegnativo per i miei tempi) ho deciso di ripiegare su questa modalità alternativa: un wrap up stagionale!

E qui veniamo a noi: oggi vi riporto le mie letture di questi primi tre mesi del 2021, da gennaio a marzo. Spero possiate trovare qualche ispirazione per le vostre prossime letture e di farvi scoprire qualche bel libro. Spoiler: non sono state tutte letture piacevoli! Se volete vedere le valutazioni che ho dato a ogni lettura vi rimando al mio profilo su Goodreads, che aggiorno al termine di ogni libro.

Tra i libri migliori che ho letto in questo 2021 voglio citarne in particolare due. Il primo è sicuramente Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo, un libro che ha fatto molto parlare di sé ed è stato accolto (a ragione, a mio avviso) come la rivelazione del 2020. Affrontando temi come relazioni tossiche, femminismo intersezionale, libertà di genere, multiculturalismo e accessibilità della cultura (solo per citarne alcune), la Evaristo realizza un libro-affresco che rispecchia la complessità e gli intrecci della nostra società, senza trascurare l’aspetto stilistico e l’intreccio narrativo. Seguendo le vicende di 12 protagoniste che ruotano attorno a un perno comune, Amma, la scrittrice costruisce la vicenda attorno alle diversità e ai contrasti, in un gioco di specchi, rimandi, collegamenti e doppi. Sono personaggi diversissimi tra loro, sono donne di diverse estrazioni sociali, diversa etnia, provenienza e con destinazioni, desideri, pulsioni diversi, eppure collegate da un filo rosso che ci accompagna per tutta la narrazione.

L’altro libro che mi ha colpito è stato L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito, uno dei candidati al Premio Strega 2021. Sono letteralmente rimasta folgorata dalla scrittura della Caminito, che ha deciso di adottare uno stile ricco, potente, sanguigno nel raccontare le vicende di Gaia, la protagonista, e della sua ricerca di uno spazio nella società. Gaia e la sua famiglia arrivano sul lago di Bracciano, in seguito a quella che ha tutti i connotati di una fuga da Roma, una fuga da quartieri inospitali, case fatiscenti, ricordi ingombranti. Gaia cresce all’ombra di una madre forte e presente, che da sola gestisce, organizza e mantiene una famiglia formata da quattro figli e un marito rimasto invalido sul lavoro. La tensione che l’autrice costruisce attorno a queste due donne rimane presente per tutto il libro; il filo che lega Gaia a sua madre si allenta o si tira a seconda dei periodi della sua vita, ma non si spezza mai, anche quando lei è convinta di averlo ormai reciso. La famiglia di Gaia vive in una situazione economica difficile, e questo aspetto segna la sua quotidianità e il suo approccio agli altri, che siano figure adulte o coetanei, questa sua “mancanza” percepita rispetto a chi la circonda getta in lei un seme di rabbia, un desiderio incolmabile di volere, avere, ottenere, possedere.

Un romanzo che mi ha lasciato con l’amaro in bocca è stato invece Esercizi di fiducia di Susan Choi, la cui pubblicazione è stata seguita da grande attenzione e una pioggia di commenti e recensioni positive. Ci troviamo in una scuola d’arte negli anni ’80 e seguiamo le vicende, su diversi piani temporali, degli alunni dell’istituto. La vicenda ruota attorno al rapporto tra i due quindicenni David e Sarah e la narrazione si costruisce sul gioco delle verità parziali e sul ribaltamento del punto di osservazione. Io purtroppo non ho trovato questo elemento sufficiente per trovare appassionante e interessante la lettura del libro. Le vicende di David e Sarah, il loro rapporto, i legami con i genitori e gli insegnanti, e la rielaborazione dei fatti che avviene nella seconda parte del romanzo non mi hanno colpito, l’ho trovata anzi una lettura piuttosto lunga e priva di un punto fermo. Alla fine della terza parte mi sono ritrovata a domandarmi più di una volta “sì, e quindi?

Purtroppo la stessa sensazione l’ho provata leggendo Io e Mabel di Helen Macdonald, un memoir che intreccia la vita dell’autrice con l’arte della falconeria, come richiama il titolo dell’opera. In particolare l’autrice si sofferma sul periodo che ha seguito la morte improvvisa del padre e su come il riavvicinarsi all’educazione dei rapaci le abbia permesso di riappropriarsi dei suoi ricordi e del suo passato. Purtroppo, se da un lato ho trovato molto interessante la parte più digressiva riguardante l’attività della falconeria, non sono riuscita a interessarmi alla parte più autobiografica, mi è sembrato anzi che queste due “anime” del libro viaggiassero su due binari separati.

Per quanto riguarda le graphic novel invece sono stata più fortunata. In questi mesi ne ho lette alcune che mi hanno davvero colpito, prima fra tutte Le figlie di Ys di M. T. Anderson e J. Rioux, una graphic novel di una casa editrice nata da pochissimo, Rebelle Edizioni (se non conoscete l’iniziativa Rebelle Box vi lascio qui il link per andare a sbirciare di cosa si tratta). Questa graphic novel si ispira a una leggenda bretone per raccontare la storia della città di Ys, protetta dalle onde di un mare agitato e minaccioso dalla regina reggente. Alla sua morte il re rimane a regnare sulla città insieme alle due figlie: Rozenn, la maggiore, che si allontana dalla corte per isolarsi nella natura, e Dahut, la minore, che esercita l’arte magica come la defunta madre e ama circondarsi di feste e immergersi nella vita reale. L’elemento magico, il rapporto con il mare e ciò che esso rappresenta, insieme alle bellissime tavole mi ha fatto apprezzare molto questo lavoro, il primo che leggo degli autori. Se riesco mi piacerebbe parlarvene in un post dedicato!

Altre due graphic novel che mi sono piaciute sono Nonostante tutto di Jordi Lafebre e Il mare verticale di Brian Freschi, entrambi editi da Bao Publishing. Era da un po’ che non leggevo graphic novel e in queste due ho ritrovato storie delicate e profonde, correlate da tavole curate, colorate e realizzate con cura, esattamente ciò che mi aspetto quando sfoglio un volume di questa casa editrice e ho voglia di un po’ di leggerezza. In particolare Nonostante tutto mi ha intrattenuto in una serata un po’ “no”, e racconta una storia d’amore un po’ particolare, sia nel rapporto tra i due personaggi, Ana e Zeno, che non rispecchiano sicuramente la classica “coppia”, che nella struttura del racconto. Infatti l’autore ha deciso di raccontarci la storia dei due protagonisti a partire dall’ultimo capitolo, andando all’indietro. L’ho trovata una scelta molto particolare e originale e riesce perfettamente nella resa di raccontare un amore molto profondo che dura attraverso i decenni.

Tra quelle, invece, che mi hanno convinto meno, cito Clorofilla di Giulio Mosca. Non conosco e non seguo direttamente l’autore sui social, quindi sono piuttosto digiuna delle tematiche che tratta e dei personaggi che racconta; ho recuperato questo lavoro a scatola chiusa e non mi ha comunicato molto. Il volume ripercorre la storia di una coppia in flashback, dal momento in cui l’auto sulla quale stanno viaggiando sbanda fuori strada. La storia d’amore tra Alfonso e Martina, basata su speranze e insoddisfazioni, viene raccontata come la crescita di una pianta, che nasce da un piccolo seme e diventa sempre più robusta e solida, fino a seccarsi per incuria e mancanza di attenzioni. Leggendo questo volume non sono riuscita a “entrare” nella vicenda, non c’è un elemento fuori posto in realtà, credo che narrativamente sia stata costruita molto bene, ma non mi ha trasmesso nulla.

Per ragioni di tempo e di spazio ho deciso di non soffermarmi su ogni libro/graphic novel letta, trovate però commenti e votazioni sulla mia pagina Instagram e sul mio profilo Goodreads!

Spero di avervi incuriosito con questa rassegna delle mie letture di questa prima parte del 2021. Se ne avete voglia vi invito a scrivervi nei commenti quali sono state le letture più interessanti che avete affrontato nel 2021 fino ad ora. Buona lettura!

Top 5 (+1) libri del 2020

Top 6 non rendeva nello stesso modo, quindi ho optato per stilare la classifica dei 5 migliori libri di questo 2020 appena concluso, con aggiunta di un bonus che vi svelerò al termine dell’articolo. Se avete già recuperato il post recap delle letture del 2020 saprete che dal punto di vista della quantità quest’anno non ha portato grandi traguardi, quindi mi sono limitata a stilare una classifica di soli 5 libri, rispetto a quanto fatto gli anni precedenti, in cui ne avevo scelti 10 (a parte per il 2019, in cui ne scelsi 5 come in questo caso).

Ma veniamo subito a noi, di seguito in ordine rigorosamente sparso, trovate i miei libri preferiti di questo folle 2020:

Nomadland di Jessica Bruder – Nomadland è un reportage che racconta la vita dei nuovi nomadi d’America, un racconto toccante e reale della vita di queste persone che in parte per scelta e in parte per mancanza di scelte decidono di comprare un mezzo (macchina, camper, roulotte) e muoversi tra gli immensi spazi della provincia degli Stati Uniti. La scrittrice ha il pregio, a mio parere, di saper raccontare in modo estremamente fluido e discorsivo tematiche anche molto complesse per chi (come la sottoscritta) non ha mai approfondito questi temi. Ve ne ho già parlato in questo post, quindi non mi dilungherò oltre qui.

Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi – Questo è uno di quei libri di cui ho pensato, non appena terminata la lettura, come avessi fatto a non averlo letto prima. Azar Nafisi ci porta nella sua Teheran e contemporaneamente in tanti altri luoghi, attraverso i libri di cui ci parla e che hanno segnato la sua (e la nostra) storia. In certi punti ho avuto i brividi a leggere l’intensità con cui la Nafisi ci accompagna nella sua vita e in quella dei suoi famigliari, dei suoi colleghi e delle sue coraggiose studentesse.

Strane Creature di Tracy Chevalier – Datemi un libro con fossili, scogliere e paesini inglesi di inizio ottocento e sarò felice. Non vorrei dilungarmi troppo in questa sede a parlare di questo libro perché ho in mente una recensione ad esso dedicata. Il libro segue la vita, dall’infanzia all’età adulta (con alcuni salti temporali) di una delle più famose cercatrici di fossili della storia, Mary Anning e della sua amicizia con Elizabeth Philpot, una donna intelligente e intraprendente con la quale condivideva la passione per i fossili. Sono rimasta talmente colpita dalle atmosfere raccontate dalla Chevalier in questo romanzo da aver speso un intero pomeriggio a cercare romanzi affini, quindi se avete qualche bel suggerimento sono tutta orecchie.

Mai stati così felici di Claire Lombardo – Non sono mai stata un’amante dei romanzi famigliari, quindi è stata una vera sorpresa per me sciropparmi senza problemi più di 700 pagine di questo romanzo senza fare una piega nel giro di pochi giorni. La narrazione si concentra sulle vicende di una famiglia della middle class americana; la Lombardo alterna il racconto dell’incontro tra David e Marilyn negli anni settanta e il risultato del loro amore, anni dopo: quattro figlie, quattro vite completamente diverse, il loro amore ancora vivo dopo anni di matrimonio e anni trascorsi nei sobborghi di Chicago. La Lombardo ci porta a conoscere i membri di questa famiglia nel corso degli anni, dalla giovinezza dei due genitori fino all’età adulta delle quattro figlie. Ci sono Wendy, Violet, Liza e Grace, alle prese con relazioni disfunzionali, famiglie sull’orlo del fallimento, e disillusioni della vita adulta. Nel momento in cui fa la propria comparsa Jonah, direttamente dal passato della famiglia Sorensen, il precario equilibrio fino a quel momento faticosamente mantenuto viene meno, e tutti i membri si trovano a dover fare i conti con le proprie scelte e i propri sbagli.

Adorazione di Alice Urciuolo – Unico titolo italiano che ho inserito nella mia top 5 di quest’anno, e mi sono accorta di aver letto, ahimè, soltanto un paio di libri di autori italiani, spero di migliorare questo aspetto durante il corso del 2021. Un racconto di adolescenti della provincia romana, che ruota attorno a un perno: un omicidio, un’assenza, una perdita. Elena viene uccisa dal suo fidanzato, Enrico. E Vanessa, Giorgio, Vera, Christian e gli altri protagonisti si trovano a fare i conti con questo avvenimento, cercando di darsi una spiegazione, o semplicemente di dimenticarlo, in alcuni casi. Ho trovato in questo libro un intreccio di percorsi di crescita, scontri generazionali, adulti ciechi davanti alla vita degli adolescenti (i loro, adolescenti), voglia di crescere e paura del cambiamento. Tutti siamo stati adolescenti, tutti ci siamo sentiti incompresi, arrabbiati, confusi, soli. E la scrittrice riesce a mio avviso a ricreare perfettamente alcune di queste sensazioni attraverso questi personaggi così vivi e reali. Spero che si cimenti presto in un nuovo romanzo.

Infine la nomination bonus, come promesso: Vardo. Dopo la tempesta di Kiran Millwood Hargrave, un libro che mi ha rapito il cuore e di cui consiglio la lettura a tutti. Ispirato ai fatti realmente accaduti, ci troviamo a Vardo, nel nord della Norvegia nel 1617, quando una tempesta improvvisa toglie la vita a tutti gli uomini di un piccolo villaggio di pescatori. Di questa tragedia saranno incolpate alcune donne del paese, trascinate in un processo terribile basato sulla superstizione e l’ignoranza. E’ una storia molto forte, che lascia il segno, che parla di libertà e coraggio e di donne che hanno faticosamente lottato per la propria sopravvivenza e il proprio diritto di vivere. Bellissimo.

Spero di avervi incuriosito con questa breve rassegna delle mie letture preferite del 2020. Se ne avete voglia vi invito a scrivervi nei commenti quali sono state le letture più interessanti e stimolanti che avete affrontato quest’anno. Buona lettura!

2021: buoni propositi letterari

Verso la fine del 2020 ho iniziato a raccogliere idee, titoli e spunti di lettura che spero guideranno le mie letture del 2021, anno in cui finalmente, lontano dagli obblighi universitari, vorrei riuscire a organizzare un po’ meglio i libri che leggo e di cui vi parlo qui. Tra queste idee ho stilato anche una piccola lista di “buoni propositi” per l’anno nuovo, che spero riuscirò a mantenere con un po’ di impegno nei mesi a venire, e ho deciso di condividerli qui con voi perché possiate trovare qualcosa di utile (e perché, sarò sincera, la condivisione spero mi aiuterà a mantenerli!)

Come vedrete di seguito non ci sono obiettivi riguardo a numeri da raggiungere o libri da leggere assolutamente. Sono dell’idea che questi propositi siano utili e interessanti laddove siano delle “linee guida” costruttive. La lettura è un mio hobby, un piacere, non un lavoro, ed estendo anche a voi questa riflessione. Non ci sono “libri da dover leggere” o “numeri da dover raggiungere”, ci siete solo voi (noi) e il piacere di scovare nuove storie e di incontrare nuovi personaggi con cui condividere qualche giornata.

Leggere con più attenzione, prendendo appunti. Mi capita spesso, soprattutto di recente, di volermi segnare alcuni passaggi e di perdermi nella lettura prima di essermi appuntata ciò che vorrei, finendo per leggere con foga e dimenticandomi poi ciò che volevo appuntarmi. Quest’anno lo vorrei dedicare a una lettura più “attenta” e misurata.

☑ Abbandonare i libri che non mi stanno piacendo. In realtà questo già lo sto facendo, anche se mi costa sempre moltissima fatica, come vi ho scritto in questo post. Per natura tendo a voler finire ciò che inizio, mi crea un profondo senso di disagio lasciare le cose a metà, ragion per cui ogni volta lasciare un libro mi costa una tremenda fatica. Fino all’anno scorso terminavo tutto ciò che iniziavo, a costo di impiegarci mesi. Negli ultimi tempi sto migliorando e sto imparando a lasciar stare le letture che davvero mi sono diventate pesanti e inaffrontabili. Nel 2021 vorrei diventare ancora più brava in questo.

☑ Comprare meno libri e tenere traccia degli acquisti. Faccio parte del team “compro più libri di quanti in realtà ne riesca a leggere”, ma questo non credo cambierà mai. Nonostante questa consapevolezza ho deciso di concentrarmi di più sui libri che già possiedo e che vorrei leggere prima dell’età della pensione, così da mettere un freno a questo accumulo compulsivo. La seconda parte di questo proposito riguarda l’idea di tenere traccia, magari direttamente qui, pubblicando dei bookhaul con regolarità, di tutti i nuovi acquisti in fatto di libri, stilando magari delle wishlist di mese in mese, per migliorare un po’ la consapevolezza ed evitare acquisti impulsivi dettati dal marketing. E qui arriviamo al prossimo punto.

☑ Farsi condizionare meno dalle novità. Mi conosco abbastanza da poter dire che mi faccio condizionare davvero con molta facilità dai trend del periodo, dalle novità e dal marketing fatto bene, almeno quando si parla di libri e mercato editoriale. Quindi ho deciso di impegnarmi per farmi condizionare meno dalle nuove uscite, che si rivelano a volte, almeno nel mio caso, delle “passioni passeggere”, che finiscono con il non interessarmi più molto velocemente. Ho passato anni, soprattutto in passato, a inseguire la novità, e anche nel corso del 2020 ho acquistato numerose nuove uscite, più di quelle che poi in realtà sono riuscita a leggere. Per questa ragione ho deciso di dare più spazio ai libri che già possiedo e soprattutto a letture più datate, a partire da alcuni classici di cui ho sempre rimandato la lettura.

Non acquistare libri su Amazon. In generale il mio desiderio di disintossicazione da Amazon va ben oltre dall’acquisto dei libri, ma in questa sede mi vorrei contrare su di essi. Cerco da tempo di limitare l’acquisto dei libri su Amazon e preferire i siti di librerie o le librerie fisiche, nel 2021 vorrei raggiungere l’obiettivo di non comprarne neanche uno.

☑ Programmare le mie letture. In realtà si tratta di una programmazione in senso più ampio, che riguarda sia le mie letture che il mio impegno con questo blog, a lungo trascurato. Nel 2021 vorrei riuscire a portare contenuti in modo più costante e soprattutto armonioso, seguendo qualche progetto di lettura con un senso compiuto, e non buttandomi come faccio sempre a capofitto in cose fatte a casaccio.

Voi avete qualche proposito “letterario” per questo 2021? Se vi va scrivetemelo nei commenti. Buon inizio anno a tutti!

Il mio 2020 in libri – appunti di lettura di questo strano anno

Dopo una lunghissima assenza torno a pubblicare finalmente un post su questo blog, fino ad ora lasciato a se stesso; e anziché partire all’inizio dell’ anno a me piace andare controcorrente e cominciare già adesso, sul finire. Nel corso del 2020 non mi è stato possibile seguire il progetto del blog come avrei voluto e come spero di riuscire a fare a partire dal 2021, anno in cui vorrei dedicarmi con più costanza a questo piccolo angolo di web. Non siamo in molti, me ne rendo conto, e forse l’assenza di costanza ha portato qualcuno dei miei vecchi lettori abituali ad abbandonare la barca, ma in ogni caso spero di farvi compagnia, in futuro, con qualche nuovo contenuto e nuovi spunti di lettura.

Ripropongo questo post perché ricordo che nel lontano (?) 2018 mi aveva divertito molto scriverlo. Ahimè a causa di forti impedimenti (vedere alle voci: lavoro, tesi) non mi è stato possibile riproporvi questo breve resoconto delle mie letture annuali al termine del 2019, motivo per cui ho deciso di riprendere questa abitudine da quest’anno. Il 2020 è stato un anno strano, imprevedibile e a tratti difficile, e per la prima volta da sempre questa sensazione è condivisa a livello mondiale. Ho deciso di concentrarmi qui sul mio anno letterario, per dare spazio ad alcune riflessioni e approfondire alcuni dei libri che mi hanno tenuto compagnie nelle lunghe (lunghissime) settimane casalinghe che hanno contraddistinto il 2020.

Osservando la mia pagina di Gooodreads (sempre aggiornata con le mie letture, se volete seguirmi mi trovate come apropositodicamilla, qui il link alla pagina) ho notato che quest’anno ho letto pochissimo rispetto agli anni precedenti, ho portato a termine solamente 26 libri (l’obiettivo era di 60 libri, come gli anni precedenti… ci ho provato LOL), di cui 11 tra graphic novel e fumetti e ne ho abbandonati/lasciati in sospeso ben 12! Tralasciando il numero di libri letti, sul quale non mi soffermo mai molto (qualita > quantità), questo ultimo numero è stato quello che mi ha più sorpreso: fino a quest’anno mi sono sempre imposta di terminare i libri che avevo iniziato, anche quelli che non mi stavano piacendo. Nel 2020 ho deciso di “uscire” da questa regola autoimposta e questo è stato il risultato. A dir la verità non so ancora se in futuro continuerò su questa strada: lasciare i libri a metà non mi piace, ho sempre l’idea che “se magari leggo un altro po’ poi mi colpisce, magari basta solo una pagina in più”. Lo so, è sciocco, ma è un pensiero irrazionale di cui non riesco a liberarmi.

Come per il post dedicato al 2018 (che se siete curiosi trovate qui) di seguito vi lascio le categorie di libri di cui vi parlerò oggi! Come nel caso del precedente post, vi segnalo che ho preso l’idea di questo post da uno dei blog che seguo di più, Nessun cancello, nessuna serratura, di Carmen, che aveva proposto questo articolo alla fine del 2017. 

Miglior libro: Nomadland di Jessica Bruder. Sono stata molto indecisa su quale libro scegliere come miglior libro del 2020, e alla fine ho deciso di orientare la mia scelta su Nomadland principalmente per due ragioni. La prima, strettamente personale, che riguarda l’impressione che mi ha fatto questo racconto, e quanto la scrittrice sia riuscita a coinvolgermi in un tema sul quale fino a questo momento non mi ero documentata e non mi ero mai davvero interessata. Nomadland racconta di un’inchiesta durata circa tre anni, duranti i quali la scrittrice ha vissuto con alcuni “nuovi nomadi” d’America, ha seguito i loro spostamenti, li ha conosciuti e ha vissuto con loro. L’autenticità e il coinvolgimento con il quale è riuscita a raccontare questa inchiesta mi hanno lasciato davvero sbalordita. La seconda ragione riguarda la necessità che credo sia diventata ormai imprescindibile di rendersi conto, in quanto collettività, delle conseguenze che hanno i nostri comportamenti, sia vicino che lontano da noi, nel tempo e nello spazio. Questo libro è stato una doccia fredda, uno schiaffo in piena faccia, una fotografia di un mondo parallelo tanto lontano e allo stesso tempo troppo vicino a noi, a me personalmente, ecco perché mi sono sentita di sceglierlo come libro migliore di questo folle 2020, tra tutti credo sia quello che mi ha lasciato di più.

Miglior autore: Azar Nafisi. Di nessun autore che ho “conosciuto” nel 2020 ho letto più di un libro, ma sicuramente è Azar Nafisi ad aver lasciato il segno e avermi incuriosito. Ho già deciso che leggerò prossimamente (spero già nel corso del 2021) il suo Le cose che non ho detto, dove spero di ritrovare le stesse note nostalgiche e allo stesso tempo vibranti che ho trovato in Leggere Lolita a Teheran. La Nafisi mi ha letteralmente trascinato pagina dopo pagina nella sua vita, ha a mio avviso una capacità narrativa davvero magnetica.

Peggior Libro: Tra i libri che ho abbandonato e di cui non ho ultimato la lettura devo citare Serotonina di Michel Houellebecq, con il quale ho avuto grossi problemi, tanto da mollare a metà il libro. Ho amato lo stile, ma non sono riuscita a interessarmi alla trama e allo svolgimento della vicenda raccontata nel libro. Tra quelli che ho portato a termine cito invece una graphic novel, ovvero Inni alle Stelle di Giopota: non mi ha convinto il soggetto, la trama, i temi trattati. Ho sofferto un po’ di confusione nello sviluppo della vicenda, non mi è stato chiaro dove volesse arrivare l’autore in alcuni passaggi, e in generale l’ho trovato un po’ noioso. E’ stato un peccato, in quanto avevo amato tantissimo il precedente lavoro di Giopota, Un anno senza te.

Un’uscita del 2020 che ti ha sorpreso: Mai stati così felici di Claire Lombardo. Ho acquistato questo libro sulla scia delle recensioni positive che hanno accompagnato l’uscita in libreria del romanzo, ed ero un po’ spaventata dall’idea di ritrovarmi a leggere un romanzo tutto sommato carino ma che non motivasse l’entusiasmo. Invece si è rivelato essere uno dei romanzi migliori che ho letto nel corso del 2020, principalmente per due ragioni che ho individuato essere i personaggi e la descrizione dei rapporti tra quest’ultimi. Un romanzo famigliare di oltre 700 pagine letto nel giro di pochi giorni, scorrevole e coinvolgente.

Un’uscita del 2020 che ti ha deluso: Bunny di Mona Awad. Sarò stupida, ma io ragazzi non l’ho proprio capito questo libro. E’ partito bene, e sono arrivata fino alla fine, quindi tutto sommato si è lasciato leggere ma una volta finita la lettura ho chiuso il libro e ho pensato: e quindi? E quindi non lo so, sono rimasta in uno stato di confusione per giorni dopo aver letto questo libro, non credo di esserne riuscita a cogliere il senso fino in fondo, per quanto mi sia piaciuto lo stile dell’autrice, non ci sono entrata per nulla in sintonia.

Un genere che hai rivalutato nel 2020: Quest’anno sono stata molto conservativa, devo ammetterlo. Non ho sperimentato nuovi generi narrativi e sono rimasta al sicuro dove più amo rintanarmi: nei romanzi. Facendo un bilancio dalla mia pagina di Goodreads, ho notato che ho letto quasi esclusivamente romanzi a esclusione di un libro di non fiction e alcune graphic novel. Inoltre mi sono accorta di aver letto quasi esclusivamente romanzi contemporanei di scrittori anglofoni.

Miglior graphic novel (categoria bonus aggiunta da me): Le ragazze del Pillar di Stefano Turconi e Teresa Radice. Devo dire che non è stato affatto difficile scegliere la graphic novel che ho preferito quest’anno, era praticamente impossibile non citare l’ultimo lavoro che ho letto della coppia Radice e Turconi. Ammetto che complice un po’ di letture non tanto avvincenti mi sono allontanata dalle graphic novel nel corso di questo ultimo anno, prediligendo i libri, quindi non avevo una lista molto corposa tra le quali scegliere. Ma se devo essere sincera Le ragazze del Pillar sarebbe stato in cima a qualsiasi lista, in parte complice l’attaccamento che nutro verso Il Porto Proibito, mia primissima graphic novel. E’ stato quasi magico ritrovarvi alcuni dei personaggi che abbiamo conosciuto ne Il Porto Proibito e tornare a immergersi in quelle atmosfere.

Spero di avervi dato qualche nuovo spunto di lettura con i libri di cui vi ho parlato in questo post. Se avete voglia, scrivetemi nei commenti se avete letto un libro che vi ha particolarmente colpito o che vi ha invece deluso.

Colgo l’occasione per salutarvi e per augurarvi un buon fine 2020, nella speranza di un 2021 più leggero e ricco di rivincite su un anno che sicuramente non è stato facile per nessuno di noi! Buon anno!

Storia di Ásta di Jón Kalman Stefánsson

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Titolo: Storia di Ásta
Autore: Jón Kalman Stefánsson
Editore: Iperborea
Pagine: 408
Prezzo: 19,50 €

Oggi vi porto la recensione di una delle mie ultime letture, Storia di Asta di Jón Kalman Stefánsson, un libro uscito lo scorso settembre e del quale ho avuto anche l’occasione di ascoltare la presentazione in una libreria a Bologna.

La conoscenza della trama è a mio avviso secondaria per approcciarsi a questo libro, anzi, conoscerla in anticipo risulta quasi deleterio. Il mio consiglio è di aprire il libro in libreria, leggerne le prime pagine, e se vi convince acquistarlo senza cercare di scoprire altro. Non leggete stralci della vicenda in giro, fatevi guidare da Stefansson e seguite la storia di Asta secondo il ritmo che lo scrittore ha deciso di dare a questo romanzo. Per questa ragione ho deciso di parlarvi della trama il meno possibile, e troverete in queste righe riflessioni di altra natura.

Ma com’è possibile raccontare la storia di una persona senza toccare anche le vite che la circondano, l’atmosfera che sostiene il cielo – e soprattutto, è legittimo farlo?

Come annuncia lo scrittore fin dalle prime pagine del romanzo, è impossibile raccontare la storia di una persona senza narrare anche quella di chi l’ha preceduta e di chi ha condiviso con lei una parte del suo percorso. L’intero romanzo prende il via proprio da questa affermazione e su essa getta le proprie fondamenta: non è solo la sua storia, ma quella dei suoi genitori, Helga e Sigvaldi, e di tutti i personaggi, o meglio, le persone, che entrano in contatto con Asta e che le gravitano attorno come satelliti. Durante la presentazione del romanzo Stefansson ha infatti sottolineato come sia in realtà impossibile conoscere davvero una persona senza averla osservata nel suo ambiente, senza prima aver scavato nel suo passato e conosciuto le sue origini. Questo è esattamente ciò che viene fatto nel libro per presentarci Asta: la conosciamo prima attraverso gli occhi dei suoi genitori.

O per meglio dire, ciascun essere umano è uno strumento a sei corde e una delle corde di Asta si chiama malinconia. Ma ne ha un’altra che si chiama passione, una che si chiama curiosità.

La narrazione copre un lungo arco narrativo, parte negli anni ’50 in Islanda e si sviluppa in modo frammentato e con salti temporali nel corso della vita di Asta, attraversando geograficamente quasi tutta l’Europa (andremo in Austria, a Barcellona, in Norvegia, a Praga). Oltre ad Asta, un ruolo estremamente importante viene ricoperto da Sigvaldi: i capitoli dedicati ad a lei, verranno infatti intervallati da altri in cui a parlare sarà proprio suo padre, anche lui “fotografato” in momenti diversi della sua vita, spesso lontanissimi tra loro. Il romanzo si basa infatti sulla polifonia e sull’alternarsi di più voci e più personaggi in diversi tempi. La narrazione è molto fluida (alcuni titoli dei capitoli terminano in frasi del corpo di testo, quindi una fluidità anche stilistica); questa narrazione così frammentata ricorda i pezzi di un puzzle che il lettore metterà insieme pagina dopo pagina, collegherà situazioni, nomi e avvenimenti solo al momento ritenuto opportuno dallo scrittore, non un secondo prima. E solo al termine della lettura verrà a crearsi una linearità e un ordine, aspetto estremamente curioso dato che da un romanzo che si intitola “Storia di Asta” ci aspetteremmo la narrazione cronologica di una vita (una sola), quasi una digressione di avvenimenti.

Il problema è il seguente: tu esisti.
È l’errore che non riesco a rimuovere.
Ho percorso le strade delle grandi città d’Europa e ho capito che tutte portano a te.

Ho trovato questo romanzo estremamente musicale, ricorda davvero una melodia che deve essere seguita dall’inizio alla fine prima di poter comprendere appieno le prime note. Oltre alla musicalità della prosa, ci sono numerosi rimandi alla poesia, che si trovano sia nella trama che nello stile.

Infine dopo aver parlato a lungo della struttura del romanzo, una nota sullo stile. Stefansson si esprime con toni poetici e allo stesso tempo crudi, con grazia e rudezza allo stesso tempo, tra le sue pagine tocchiamo picchi altissimi e punti così in basso nel sudiciume dell’animo umano da farci sentire colpevoli e sporchi a nostra volta. Non mi era mai capitato prima di trovare una capacità espressiva tale da saper alternare fisicità e materialità a poesia e lirismo nell’arco della stessa pagina, a volte della stessa frase.

Ma devi  anche sapere che l’amore a volte è cieco e crudele, e per questo motivo un’unica strada porta sia alla felicità che alla disperazione.

Se decidete di dare un’opportunità a questo romanzo familiare, scrivetemi cosa ne pensate nei commenti. Buona lettura!

Chilografia di Domitilla Pirro

Titolo: Chilografia, diario vorace di Palla
Autore: Domitilla Pirro
Editore: Effequ
Pagine: 208
Prezzo: 15,00 €

Oggi vi porto la recensione di un libro scovato per caso in libreria: lo avevo visto su Instagram di sfuggita, ma inizialmente non avevo approfondito la trama. Me lo sono ritrovata davanti in libreria e non appena ho letto le prime righe del retro di copertina ho capito che sarebbe venuto a casa con me. L’ho divorato in meno di 24 ore, e l’ho recensito su Goodreads con 5 stelline su 5 (cosa per me più unica che rara). Questo libro è stato un colpo al cuore: una scrittura potentissima e dei personaggi caratterizzati così bene che difficilmente dimenticherò.

Domitilla Pirro ci racconta la storia di Palma, una bambina prima e una ragazza poi alle prese con un corpo ingombrante con il quale non riesce a scendere a compromessi. I capitoli scandiscono il suo peso corporeo, partendo da quando pesava pochi grammi al momento del suo concepimento, quando seguiamo le vicende dei suoi genitori e dell’universo inospitale che attende Palma una volta nata, fino ad arrivare a numeri a tre cifre. Palma, o meglio Palla, grazioso nomignolo affibbiatole dalle sue compagne scout, crescerà anno dopo anno insieme al suo involucro di carne e adipe, incapace di ascoltarsi e di raccontarsi alle persone che la circondano. Una sorella che non perde occasione di deriderla, una famiglia sfasciata (per colpa di chi? si domanderà una piccolissima Palma), libero accesso al frigorifero, un corpo che lievita insieme all’incapacità di trovare il proprio posto nel mondo. Palma ingrassa, si chiude in sé stessa e troverà in una relazione disfunzionale nata online il conforto e la sicurezza che è sempre andata cercando negli altri. Non voglio dirvi altro della trama, sperando che incontrerete Palma e la conoscerete un po’ alla volta come è successo a me.

Poi c’è una parola che non è corpo e non è cosa. Che non si può contare. Che è e basta, e non è finito. È il sangue. Sangue non ha plurale.

Lo sfondo di queste vicende è la periferia romana, un luogo indefinito che diventa centrale ed entra prepotentemente nello spazio narrativo attraverso la lingua scelta dall’autrice, che alterna frasi in italiano ad altre in dialetto romano. Questa scelta, che traduce in dialetto i pensieri di Palma, contribuisce a rendere la narrazione estremamente reale e concreta. L’autrice si serve di un linguaggio crudo, fortemente evocativo, dove il tema della corporeità e della solidità fisica sono centrali. Descrive con dovizia di particolari i corpi, i fluidi, la carne. La storia di Palma è scandita dal suo corpo, ancora prima che Palma fosse Palma, lei era solo un corpo, nella pancia di Stefania, sua madre.

Era da tempo che non incontravo nelle pagine di un libro un personaggio tanto verosimile e realistico quanto la giovane protagonista di questo libro. Palma viene delineata attraverso la sua solitudine e la sua perenne tensione verso l’accettazione, la necessità di un’accettazione generalizzata da parte di altri, che troverà sfogo solo con l’incontro con Angelo, quello che diventerà il suo ragazzo. In certi passaggi la narrazione è talmente densa e intima che l’autrice spinge il lettore a sentirsi quasi a disagio, come se stesse vivendo momenti troppo intimi di un’altro essere umano. La fotografia che la Pirro scatta di Palma mostra luci e ombre, molte ombre, grandissime ombre che non si riescono a ignorare durante la lettura e finiscono per coinvolgere il lettore in un flusso di pensieri e insulti in romanesco. E mentre sembra che l’autrice ci parli di un universo lontanissimo da noi, se non per quelli che condividono i natali con la protagonista, riesce nell’impresa di parlare delle storie di tutti. Più la scrittura diventa particolare e si concentra sui piccoli dettagli della vita di Palma, più il lettore entra nella sua quotidianità e ne condivide alcuni ricordi, alcuni particolari dell’infanzia, una parola, un gioco, una sensazione. Ancora di più se ha vissuto gli anni novanta ed è incappato una volta o due sui forum che impazzavano nei primi anni 2000.

Forse se cerca di rallentare il cuore col pensiero, se lo vuole abbastanza, lui smetterà di cercare di esplodere.

Spero decidiate di dare un’opportunità a questo libro e di incontrare Palma. Non è un libro adatto a tutti, è vero: ci vuole stomaco e ci vuole coraggio per arrivare in fondo, ma si tratta di uno di quei libri attraverso i quali non si riesce a passare indenni e che non si dimenticano tanto in fretta.

Di ritorni, novità e aggiornamenti di lettura

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Dopo una lunghissima assenza da queste scene, eccomi ritornare con un nuovo contenuto a base di chiacchiere e ultime letture. Quando ho aperto la pagina del blog e ho visto che l’ultimo articolo scritto risaliva ai primi di gennaio mi è venuto male al cuore. Purtroppo questi mesi sono stati piuttosto impegnativi: prima ero immersa fino ai gomiti nella sessione invernale, e successivamente mi sono dovuta concentrare sulla ricerca di uno stage per l’università che si è finalmente conclusa e mi ha dato modo di riprendere a respirare in queste settimane di aprile.

Dopo un lungo periodo di assenza quindi sia dal blog che dalla mia pagina Instagram (dove di solito pubblico con un po’ più di frequenza) ho deciso di riprendere in mano questo piccolo progetto e sto cercando di dargli un nuovo volto e di trasformarlo in qualcosa di più di un semplice blog dove raccolgo recensioni e pareri inerenti a singoli libri. In che senso? Mi piacerebbe portare alcuni contenuti diversi, sempre legati al mondo della carta stampata, che si distacchino dalla canonica recensione. E a proposito di recensioni, subiranno una leggera variazione: cercherò di creare contenuti più brevi e più omogenei tra loro. Vedremo cosa riuscirò a combinare con questa idea, e se voi avete qualche osservazione in merito vi invito a lasciarmi il vostro pensiero nei commenti!

Che altre novità ci sono? Ho deciso di eliminare quasi completamente le collaborazioni con le case editrici. Perché? Perché la vita va veloce, io ho tanti impegni, e ho deciso di leggere solamente ciò che io scelgo di leggere, quando mi va e come mi va. La serietà di un blogger che decide di collaborare con le case editrici, le quali gli mandano gratuitamente copie omaggio di un determinato libro perché questo lo legga e ne scriva una recensione, implica necessariamente che il suddetto abbia tempo e voglia di dedicarcisi. Di conseguenza, escludendo alcuni casi rari, ho deciso di non accettare più collaborazioni di nessun genere. Ogni volta che vi parlerò di un libro o una graphic novel che mi è stata mandata da una casa editrice lo troverete segnalato nel suddetto post, altrimenti potete ricercare la sezione “collaborazioni”. Questo per essere totalmente trasparente nelle mie letture e fornire a voi, che mi leggete, tutte le informazioni riguardanti la mia lettura.

E poi c’è dell’altro? Sì, ho eliminato la collaborazione con Amazon, di conseguenza non troverete più nessun link di affiliazione in fondo ai miei articoli. Vi lascerò sempre il link per acquistare il libro su IBS e il suggerimento di uscire e andarvi a comprare la vostra copia cartacea in una bella libreria.

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Abbiamo esaurito le comunicazioni di servizio, e posso tornare a concentrarmi su ciò di cui mi piace parlarvi: libri. Cosa ho letto? Cosa sto leggendo? Tra febbraio e marzo ho subito una battuta d’arresto in tema letture, ahimè le ansie quotidiane e la testa appesantita da altri problemi personali mi hanno tenuta lontano dai libri. A febbraio ho affrontato il problema leggendo qualche graphic novel, sempre ottima “medicina” per questi periodi. A marzo invece mi sono venuti in soccorso i romanzi fantasy: sono la mia copertina di Linus, quando non riesco a concentrarmi su altri generi il fantasy mi regala sempre una boccata d’aria e mi permette di leggere, appassionarmi a una storia, e svuotare il cervello. Tra le graphic novel migliori lette nell’ultimo periodo vi segnalo Patience di Daniel Clowe, un vero capolavoro a colori, e Andy di Typex, una mastodontica e curatissima opera che ripercosse la vita di Andy Warhol, a cui vengono aggiunti acuti passaggi originali. Parlando di fantasy, invece, ho recuperato Figli di sangue e ossa di Tomy Adeyemi, un romanzo young adult del quale avevo sentito parlare benissimo ma che non mi ha saputo convincere fino in fondo (trovate due parole in più sul mio profilo Instagram) e l’acclamato Tenebre e ghiaccio di Leigh Bardugo, primo volume della Grisha Trilogy. Ahimè i seguiti non sono stati tradotti in italiano, quindi mi armerò di pazienza e li leggerò in inglese sul mio kobo.

Ad aprile, con la mente più sgombra e più tempo a disposizione, ho rincominciato a leggere libri più impegnativi, e mi è capitato di leggere alcune vere chicche. Primo tra tutti Acquadolce di Akwaeke Emezi edito Il Saggiatore, un libro poetico e fuori dal normale, originale nello stile e particolarissimo nella narrazione. Una lettura folgorante. Altro titolo che voglio menzionarvi è l’ormai acclamatissimo Benevolenza cosmica di Fabio Bacà, un esordio firmato Adelphi, altra lettura stramba e con uno stile ricco, opulento ed esagerato che mi è piaciuta moltissimo. Vi ricordo che ogni mese sul mio profilo Instagram pubblico un post riassuntivo con tutte le mie letture del mese, quindi se non volete perdervi nulla vi consiglio di seguirmi anche lì!

Bene, direi di avervi riportato gli aggiornamenti principali, spero che nonostante l’assenza di questi mesi continuerete a seguirmi e a leggere i miei contenuti. Nelle prossime settimane cercherò di far uscire articoli con un po’ più di frequenza. Nel frattempo: buona lettura!

Il mio 2018 in libri

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Bentornati sul blog! Oggi è l’ultimo giorno del 2018 e prima di alzare i calici e brindare al nuovo anno ho deciso di fare un veloce recap delle mie letture anche qui sul blog (se mi seguite su Instagram sulla mia pagina trovate alcuni post dedicati alle mie letture migliori/peggiori dell’anno). Ho preso l’idea di questo post da uno dei blog che seguo di più, Nessun cancello, nessuna serratura, di Carmen, che aveva proposto questo articolo alla fine del 2017. Bene, non perdiamoci in chiacchiere e iniziamo subito con il riassunto del mio anno letterario.

Miglior libro: Resto qui di Marco Balzano. Se mi seguite su Instagram non è una novità: ho dedicato numerosi post a questo titolo, ne ho parlato in modo approfondito e credo ne scriverò presto una recensione anche qui per raccogliere tutti i miei pareri a riguardo. E’ un libro magico, unico e purtroppo terribilmente attuale, nonostante sia ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. Balzano, candidato al Premio Strega, si riesce a calare benissimo nei panni della protagonista, Trina, e attraverso di lei a dar voce a un’intera comunità, quella del piccolo comune di Curon, nel Sudtirolo. Con il racconto di una guerra e di un’inondazione Balzano ci ricorda il potere delle parole, il valore di poter aprire bocca e imporsi per le cose che per noi hanno importanza. Se vi ho incuriositi, qui trovate il mio link di affiliazione ad Amazon per acquistare Resto qui.

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Miglior autore: Shirley Jackson, senza alcun dubbio. La maestra dell’inquietante e dei brividi lungo la schiena mi ha definitivamente conquistato nel corso del 2018. L’avevo conosciuta e incontrata per la prima volta nel 2017 con Abbiamo sempre vissuto nel castello (che rimane, a mio avviso, il suo libro migliore tra quelli letti sino ad ora) e la raccolta di racconti La Lotteria. Quest’anno ho letto invece Paranoia, vero gioiello letterario e L’incubo di Hill House, considerato dai più il suo capolavoro. Paranoia mi ha permesso di incontrare l’autrice non solo come scrittrice di romanzi e racconti ma anche come persona, attraverso la raccolta di saggi, riflessioni, aneddoti narrati in prima persona, che compongono il libro. Attraverso questo mosaico di espressioni diverse dell’autrice ho potuto sbirciare nella sua vita e innamorarmi definitivamente del suo stile e della sua autoironia che nascondono molto di più. Ragione per cui ho già messo nel carrello di Amazon la sua biografia e altri titoli di non fiction firmati da lei. Se siete interessati a Paranoia, vi lascio il mio link di affiliazione Amazon, con il vostro acquisto riceverò una piccola percentuale da rinvestire nei libri di cui vi parlo sul blog.

Peggior libro: Lamb di Bonnie Nadzam. Una cocente delusione. Avevo adorato lo stile dell’autrice in Lions, tanto da nominarlo nei dieci libri migliori letti nel 2017, ma questo titolo mi ha purtroppo molto deluso. Di Lamb non ho apprezzato né la forma né il contenuto: la vicenda narrata non mi ha convinto (tanto che ho trovato molto fuori luogo i paragoni mossi nei confronti di questo titolo con Lolita, viaggiamo proprio su due binari, anzi, universi, diversi, a mio parere), né la caratterizzazione dei due protagonisti. Nonostante questo la mia insofferenza alla storia David Lamb e Tommie è stata peggiorata dallo stile dell’autrice che ho trovato un po’ frettoloso e molto, troppo, scarno. A questo si aggiungono le mie alte aspettative mandate in frantumi. Nonostante ciò spero che presto arrivino in Italia altri titolo della Nadzam, sono impaziente di riavvicinarmi alla magia che avevo trovato in Lions. Per acquistare il libro su Amazon vi lascio il mio link di affiliazione.

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Un’uscita del 2018 che ti ha sorpreso: Divorare il cielo di Paolo Giordano. Questo libro è stato una completa e inaspettata sorpresa. Quando ho acquistato Divorare il cielo non mi aspettavo certo potesse piacermi così tanto. Mi sono innamorata della trama, dei personaggi, dell’atmosfera che si respira dalla prima all’ultima pagina e dello stile di Giordano. Un romanzo che sembra corale ma non lo è, complesso, ricco e intrecciato in due tempi diversi che a volte finiscono per sovrapporsi. Prima della lettura ero piuttosto titubante, un romanzo di oltre quattrocento pagine, scritto da una penna che in passato mi aveva deluso: non ero certa sarei riuscita a finirlo e soprattutto ad apprezzarlo. E invece ricordo di averlo letto in tre giorni, non riuscivo a staccarmi dalle pagine e ormai ero completamente rapita dalle vicende dei protagonisti, tanto che a volte dovevo fermarmi e ricordare a me stessa che era solo un libro. Se volete recuperare Divorare il cielo attraverso il mio link di affiliazione, qui trovate il link d’acquisto.

Un’uscita del 2018 che ti ha deluso: Autunno di Ali Smith. Aspettavo trepidante di leggere un libro della Smith da tempo e forse ho sbagliato a iniziare con questo. Ho letto Autunno e purtroppo ne sono rimasta delusa, in primis dallo stile dell’autrice, che mi è sembrato inutilmente ricercato e quasi pomposo, senza che ve ne fosse una reale ragione. Ho trovato infatti lo stile molto lontano dall’effettiva trama in sé, quasi forzato in alcuni tratti. Se da un lato non mi è piaciuta la forma, dall’altra non  ho apprezzato maggiormente le vicende narrate. Non mi ha convinto la caratterizzazione dei personaggi principali, e in alcuni casi ho fatto molta fatica a seguire il filo della narrazione, mi perdevo nei meandri delle pagine e non riuscivo a orientarmi nella trama. Spero di riavvicinarmi presto alla Smith leggendo altro di suo, vorrei darle presto una seconda possibilità. Se volete acquistare Autunno con il mio link di affiliazione di Amazon, questo è il link.

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Un genere che hai rivalutato nel 2018: Non fiction. Prima di approcciarmi con successo a questo genere nel corso del 2018 (genere che poi ho scoperto essere tremendamente vasto, e di per sé, non fiction, non vuol dire niente), credevo di non avere la voglia di impegnarmi in letture di stampo più tecnico e nozionistico, già impegnata nelle letture per l’università. Invece ho scoperto essere un’amante della non fiction, e in particolare di testi di divulgazione più o meno specifici che trattano dei più disparati argomenti. IN questa categoria rientrano memoir, biografie, saggi più o meno scientifici, raccolte di articoli di giornali o riflessioni degli autori, insomma, è una categoria davvero estremamente vasta. Uno dei libri più belli letti nel 2018 rientra perfettamente in questo genere, si tratta di Leviatano ovvero la balena di Philip Hoare, un testo che fonde la storia dell’autore e le sue esperienze personali con una serie di riflessioni scientifiche di natura ecologia, biologica, storica e mitologica. Proprio di questa categoria di saggi, di natura ibrida tra più generi, difficilmente incasellabili io mi sono innamorata nel 2018. Oggi ne sono costantemente alla ricerca, tra memoir di viaggi, biografie romanzate, studi su animali e chi più ne ha più ne metta. Il mio 2019 si prospetta essere un anno molto ricco di queste letture. Qui vi lascio il link per acquistare Leviatano ovvero la balena su Amazon.

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Miglior graphic novel (categoria bonus aggiunta da me): La mia cosa preferita sono i mostri di Emil Ferris. Di questa splendida graphic novel ho scritto una recensione qui sul blog, di cui trovate il link qui. La Ferris ha firmato un lavoro completamente fuori dall’ordinario, che unisce una trama difficile e delicata a uno stile particolarissimo e diverso dal solito. Per tutte le riflessioni a riguardo vi lascio la recensione. A mio avviso un vero capolavoro immancabile nella libreria di un appassionato del genere. Se volete acquistare il volume su Amazon attraverso il mio link di affiliazione, potete cliccare qui.

Bene, questo post termina qui. Quali sono state le letture migliori o peggiori del vostro 2018? Vi ricordo che potete utilizzare i link ad Amazon per acquistare i libri e i fumetti di cui vi parlo sul blog, e se volete potete sostenere il blog con un caffè virtuale su Ko-fi. Ci leggiamo nel 2019, sperando sia un anno pieno di belle letture e nuove scoperte letterarie! Buon anno!

Recensione: La mia cosa preferita sono i mostri

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Finalmente! F I N A L M E N T E ! Aspettavo di leggere questa graphic novel da prima ancora che venisse tradotta in italiano. Per ragioni essenzialmente economiche (è un volume un po’ costoso, MA vale tutti i soldi spesi) avevo rimandato l’acquisto del volume in questione fino al Lucca Comics di quest’anno, dove finalmente mi sono concessa l’acquisto.

14 Febbraio 1968. Oggi la nostra vicina del piano di sopra, la signora Anka Silverberg, è morta in circostanze misteriose. Le hanno sparato al cuore in salotto, ma è stata trovata a letto con le coperte in ordine, come se si fosse messa a dormire.

Per quanto mi riguarda questa graphic novel è davvero unica nel suo genere ed estremamente interessante. Si basa su una trama avvincente e sviluppata egregiamente e uno stile particolarissimo e immediatamente riconoscibile ed evocativo, ma andiamo con calma. Partiamo dalla trama: siamo negli anni ’60, la protagonista è la piccola Karen Reyes, una ragazzina di undici anni appassionata di disegno, arte ma soprattutto, come suggerisce il titolo, mostri. Karen è una vera fan dell’orrore, va alla ricerca dei suoi mostri preferiti per le strade di Chicago, sullo sfondo di una città in balia della povertà e della criminalità. Karen prova a destreggiarsi in una quotidianità che non è molto facile, e situazione che peggiora quando scopre che la sua vicina di casa, con la quale ogni tanto passava un po’ di tempo, è stata trovata morta. La polizia parla di suicidio, ma lei non vuole (o non può) crederci, e decide di far chiarezza su questo “caso”, indossando l’impermeabile da investigatore di suo fratello e iniziando a indagare. Questo la porterà a esplorare gli angoli più bui e nascosti della vita di Anka, la sua vicina di casa. A grandi linee questo è il corpo centrale della trama, della quale non voglio dirvi di più.

Veniamo ora al secondo aspetto, lo stile e la struttura della graphic novel. La Ferris costruisce questo enorme primo volume (ci sarà un seguito) come se fosse il quaderno di disegni e scarabocchi di Karen, dove appunta ciò che le succede e racconta le sue giornate, una sorta di diario illustrato. Conosceremo tutta la vicenda dal punto di vista della protagonista, che illustrerà le sue giornate e le persone che la circondano, mischiando la sua quotidianità con ricordi, pensieri e a volte elementi inventati, frutto della sua fantasia, come i suoi amati mostri. A tal proposito l’aspetto interpretativo è essenziale per la lettura di questa graphic novel. Karen si disegnerà sempre come un mostro, un piccolo licantropo, mentre replicherà in maniera molto veritiera tutti gli altri elementi della sua vita, compresi i suoi famigliari e tutte le persone che la circondano (con un’unica, breve, eccezione). A intervallare i capitoli ci saranno delle copertine di riviste horror che la stessa Karen ricopia fedelmente sul suo quaderno. Non c’è una pagina che si assomiglia all’altra, i pensieri di Karen si fondono con le sue riflessioni, e poi con la storia di Anka e della sua tormentata vita. Disegni, scarabocchi e scritte, si fondono insieme; il tutto riportato da un tratto molto realistico, a penna. Non sono pagine monocromatiche, si alterneranno vari colori, sempre a penna o al massimo pennarello, rendendo questa graphic novel una delle più particolari e innovative, dal punto di vista estetico, che io abbia mai avuto tra le mani. Lo stile del diario ricorda un po’ le stesse riviste horror che legge Karen, pieno zeppo di rimandi alla cultura underground.

Dicono “poichè non è possibile che i mostri siano veri, allora non sono veri”. Il dizionario dice che la parola mostro viene dal latino “monstrum”, che significa “far vedere” (come dimostrare) ma la g.e.n.t.e dice “non abbiamo mai visto un mostro, quindi non esistono”… la verità è che ci sono tante cose che non vediamo normalmente, ma che sono proprio sotto al nostro naso, come i germi, l’elettricità, e forse anche i mostri sono totto al nostro naso.

L’opera segue due linee narrative principali. Nella prima parte si sviluppa e si esplora l’universo della piccola Karen, che si trova a vivere una quotidianità condita dal bullismo, non pochi problemi in famiglia e una sessualità ancora da definire e da comprendere. In queste pagine conosciamo meglio suo fratello Deeze, un personaggio fondamentale, che si prende cura (come meglio riesce) della sorellina, e che l’ha fatta avvicinare al mondo dell’arte per la prima volta, e la madre di Karen, una donna che mischia un po’ di religione a tantissime superstizioni e credenze popolari che la guidano nelle scelte quotidiane. In queste pagine emergono i temi del rifiuto del diverso, dell’emarginazione, del razzismo, della difficoltà di sentirsi parte integrante di una società che non sembra pronta ad accettarti. La seconda parte è invece dedicata alla violenta storia di Anka, e passiamo ad affrontare aspetti molto intensi seguendo la sua biografia, come la guerra (Anka è una sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti), lo sfruttamento e l’oggettivazione del corpo femminile e la malattia mentale.

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E’ una graphic novel che ha molti livelli di lettura, e soprattutto esplora e analizza moltissime tematiche, alcune anche molto forti, soprattutto quando ci addentriamo nella seconda parte del romanzo, quella dedicata alla storia di Anka. Proprio per queste tematiche viene usato uno stile anche esplicito, i disegni non risparmiamo particolari cruenti o a sfondo sessuale, mai superfluo, sempre utile all’economia dell’opera. Molto più che in altri casi, lo stile e la struttura dell’opera si fondono con la narrazione, e diventano l’uno lo specchio dell’altra: alla fine della lettura ci sembra impossibile illustrare diversamente la storia che abbiamo appena letto, quello della Ferris è l’unico modo possibile.

Viene spontaneo chiedersi, a un certo punto del romanzo, chi siano i veri mostri. E’ curioso vedere come Karen si disegni come un licantropo, segno di un’incapacità di trovare il proprio spazio e il proprio ruolo in una società che comprende con difficoltà, ma disegna invece in modo perfettamente normale i mostri attorno a lei. Nascosti appena sotto la superficie, e anzi, in molti casi nemmeno tanto celati, si muovono sullo sfondo altri tipi di mostri, quelli veri, diciamo. Karen si domanda cosa distingua i mostri buoni, ovvero quelle persone viste come diverse dalla società, che non trovano il proprio spazio, dai mostri cattivi, quelli che agiscono con egoismo e crudeltà.

… Mi faccio largo nel grigiume fino ad arrivare all’isola verde nell’occhio di mama. È coperto di alberi e arbusti e odora di terra. È come se mia madre avesse fatto un posto sull’isola verde per tutto ciò che sono (anche le cose segrete) e mi sdraio su un soffice letto di muschio, alla base del pino molto alto, e mi addormento.

Ultima nota che vorrei fare riguardo a questa splendida graphic novel è riferita alla casa editrice Bao Publishing. La particolarità dello stile della Ferris risiede non solo nell’uso della penna come strumento grafico, già piuttosto inusuale nel mondo del fumetto contemporaneo, ma dall’uso della pagina e dalla gestione degli spazi. La Ferris ricopre letteralmente la pagina bianca, non lascia molti spazi, e ogni pagina è diversa da quella precedente, aspetto che ci permette di immergerci nella lettura e credere che quelle siano davvero le pagine di un vecchio e logoro quadernone, perché avrebbe davvero quell’aspetto. Dietro al lavoro di traduzione della graphic novel, in questo caso non c’è solo l’esigenza di adattare i dialoghi e inserirli negli spazi appositi, ma è stato necessario letteralmente ripensare gli spazi e in alcuni casi realizzare dei lavori di hand lettering ad hoc per ogni pagina. Quindi bravi, come sempre, i ragazzi della casa editrice, che ci hanno regalato questo piccolo gioiellino in italiano. Per conoscere meglio l’autrice Emil Ferris vi lascio il link di un’interessante intervista del sito Il Libraio.

La recensione si conclude qui. Spero che vi sia piaciuta, e se decidete di acquistare questa graphic novel, vi lascio il mio link di affiliazione ad Amazon. Se acquistate tramite il mio link io riceverò una piccola commissione (non muterà assolutamente il prezzo che pagherete voi) che mi permetterà di acquistare altri libri in futuro per continuare a parlarvi di libri!

Recensione: Se la strada potesse parlare di James Baldwin

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Bentornati sul blog! Oggi vi porto la recensione di una delle mie ultime letture, un libro verso il quale nutrivo aspettative piuttosto alte, avendone sentito parlare molto bene da chiunque lo avesse già letto, ed effettivamente la lettura ha soddisfatto, se non addirittura superato, queste aspettative. Prima di iniziare la recensione vi lascio il sito della casa editrice Fandango, che mi ha mandato questo libro e che non smetterò mai di ringraziare per avermi fatto conoscere Baldwin e la sua meravigliosa scrittura.

Perché, capite, lui aveva trovato il suo centro, il suo centro personale dentro di sé: e si vedeva. Non era il povero negro di nessuno. E questo è un crimine in questo fottuto libero paese. Devi essere un povero negro: ed è stato quello che i poliziotti hanno deciso quando Fonny si è trasferito in centro.

Questo libro mi era stato presentato come una “bellissima storia d’amore” e io, non essendo una grande amante del genere, partivo un po’ prevenuta. Ora che l’ho terminato posso affermare che è molto di più, è sì una bellissima storia d’amore, ma non solo. E’ la storia di una famiglia, di un quartiere, di uno spaccato della società, di un periodo storico, che racconta senza la pretesa di spiegarlo, un intero mondo. Baldwin scriveva questo romanzo nel 1974, e la vicenda si sviluppa durante i turbolenti anni settanta in una società americana dove le discriminazioni razziali sono all’ordine del giorno. Siamo a New York, una New York bellissima e terribile, e seguiamo le vicende narrate in prima persona della giovane Tish, diciannovenne afroamericana incinta del suo ragazzo, il ventunenne Fonny, incarcerato ingiustamente per lo stupro di una donna portoricana che afferma di averlo riconosciuto come il suo aggressore. In pochissime parole, questa è la trama, in realtà c’è molto di più. Quella che inizialmente sembra una vicenda che ruota attorno a due soli personaggi, Tish e Fonny (che quasi conosciamo solo attraverso i ricordi di Tish), coinvolge invece due intere famiglie e tutte le persone che incrociano, anche per un attimo la vita di Tish. Baldwin infatti non risparmia nessun personaggio dal suo sguardo attento, e attraverso il fiume di pensieri di Tish ci porta a conoscere la sua famiglia, quella di Fonny e le persone che attraversano le loro vite, dal ragazzino tassista di San Juan, alla donna italiana che gestisce un fruttivendolo, all’uomo gentile che avrebbe affittato la sua soffitta ai due giovani. Così questa diventa anche la loro storia, la storia di una donna portoricana stuprata e spaventata, di un avvocato bianco e coraggioso, di una madre, Sharon, che per sua figlia e il suo futuro nipote farebbe (e fa) di tutto. Baldwin costruisce un vero mosaico, in cui ogni tessera tocca e influenza quelle che gli stanno accanto.

Il mondo vede quello che vuole vedere o, quando si arriva alla fine dei conti, quello che gli dici di vedere: non desidera sapere chi, cosa o perché sei.

E’ una storia d’amore, che non “rimane” tra due sole persone ma si espande tutto attorno a loro. E’ la storia di come l’amore può fare la differenza nella vita delle persone, di come può salvare e condannare, di come i rapporti sociali possono incidere nel corso dell’esistenza di un singolo individuo. In questo caso è esemplare il paragone tra la vicenda di Fonny e quella del suo amico Daniel, per mettere in luce la differenza tra due giovani che hanno avuto la possibilità di godere in modo diverso dei rapporti che li circondavano.

La drammatica storia di Fonny, che si è macchiato dell’unico crimine di essere nato nero, in una società profondamente razzista, accusato ingiustamente per un crimine che non ha commesso, è portata come uno schiaffo agli occhi del lettore, a denuncia di una società corrotta e votata alla discriminazione razziale. Nonostante il profondo dolore di cui è impregnata ogni pagina del romanzo, Baldwin non si perde mai in toni tragici e pesanti, anzi, riesce a raccontare questa storia con quasi un velato e leggero ottimismo, un senso di fratellanza, non solo tra i neri, ma più collettivo, che prescinde la nazionalità, il colore della pelle e l’etnia.

Lo stile si adatta al tono della narrazione: a raccontarci questa storia è la stessa protagonista, Tish, e Baldwin le regala una voce (forte, riconoscibile, determinata, disperata) e lo spazio necessario per raccontarci la sua storia. Lo scrittore si annulla in lei e allo stesso tempo è estremamente presente, le due voci si sovrappongono e per noi l’unica narratrice della vicenda diventa la giovane e inesperta Tish, e attraverso le sue stesse parole impariamo a conoscere lei e il mondo che la circonda. Questa scelta finisce per coinvolgere il lettore talmente tanto che a metà del libro ci sembrerà di essere con Tish per le strade di New York, di accompagnarla al lavoro, di guardare Fonny attraverso il vetro della sala degli incontri in carcere, ci sembrerà di essere lì, di far parte di quella storia, di essere a nostra volta coinvolti. Ci sorprendiamo con lei, ci arrabbiamo con lei, ci indigniamo, speriamo, sorridiamo, siamo felici, piangiamo con lei. E questa forza evocativa è forse il principale aspetto positivo del romanzo, al di là della trama, dei personaggi, della storia in sé, è il modo in cui viene raccontata questa storia ad avermi colpita e rapita.

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Credo che non succeda troppo spesso che due persone possono ridere e anche fare l’amore, fare l’amore perché ridono, ridere perché stanno facendo l’amore. L’amore e il riso provengono dallo stesso luogo: ma solo in pochi ci vanno.

Il registro è esattamente quello che ci aspettiamo da parte di una diciannovenne con un’istruzione media e tanta rabbia in corpo: a volte è un po’ sboccata, sempre sincera, racconta la sua realtà senza filtri, senza migliorare nulla di ciò che le passa per la testa, di ciò che sente. Ci racconta la sua frustrazione, la sua rabbia, la sua paura. Molto più di qualsiasi altro sentimento, è la paura a regnare nelle pagine di questo romanzo: tutti hanno paura, e la cosa che mi ha più colpito è che nessun personaggio ha paura per se stesso, non direttamente. Tutti sono spaventati per qualcuno di caro. Una sorta di paura condivisa e strisciante che lega ogni personaggio l’uno all’altro.

L’ultimo aspetto del quale vorrei parlarvi è anche l’unica nota dolente del romanzo: il finale. Ho apprezzato il finale aperto, ma l’ho trovato troppo aperto, un po’ arrangiato. Seguendo la storia, ho trovato naturale che non ci fosse la parola fine a questo romanzo, ma avrei sperato in qualcosa di più, visto lo svolgimento della trama. Mi è sembrato incompleto, sarebbero bastate una ventina di pagine per renderlo, almeno ai miei occhi, un romanzo praticamente perfetto.

Colpita dallo stile e dalle tematiche trattate da Baldwin, da sempre attivista per i diritti civili e che ha fatto delle denunce di discriminazioni razziali il centro di molte sue riflessioni, ho deciso di approfondire la sua figura e la sua produzione: Fandango ha portato in Italia La stanza di Giovanni, uno dei romanzi più conosciuti dell’autore e da quello che ho potuto capire dal loro addetto stampa, sono intenzionati a portarci tutte le opere dello scrittore (evviva!). Qui vi lascio un articolo sullo scrittore che ho trovato piuttosto interessante: si tratta un’intervista del 1962, pubblicata sul The Guardian, dopo l’uscita del secondo romanzo dell’autore. Qui Baldwin parla del suo controverso rapporto con la città di New York (è nato e cresciuto ad Harlem), sempre centro focale dei suoi romanzi, della sua scrittura e della necessità di lasciare l’America per vivere per un periodo di tempo in Europa.

“I left America because I thought that if I survived at all I would drown as a writer in bitterness. I wanted to be a writer, not a Negro writer.” – J. Baldwin

Vi segnalo inoltre, se foste interessati (come la sottoscritta) ad approfondire le tematiche di Baldwin, una raccolta di suoi saggi e riflessioni, edito Bompiani, Questo mondo non è più bianco.

Spero che questa recensione vi sia piaciuta e che sia riuscita a incuriosirvi un po’ riguardo a questo meraviglioso libro, al quale spero decidiate di dare una chance. Come sempre vi lascio qui il link per acquistarlo tramite il mio link di affiliazione ad Amazon.